I framework metallorganici porosi (MOF) sono composti ibridi organici/inorganici caratterizzati da strutture polimeriche tridimensionali, ai cui vertici (i cosiddetti nodi) si trovano ioni metallici o cluster ossometallici, pontati da leganti (i cosiddetti spaziatori) donatori all’ossigeno o all’azoto e, più raramente, allo zolfo o al fosforo.
La caratteristica più interessante di questi materiali, che li ha portati alla ribalta nella prima decade di questo secolo come possibili sostituti delle zeoliti, è la notevole percentuale di volume vuoto all’interno della loro struttura cristallina, organizzato in cavità isolate o canali. I primi studiosi che si dedicarono ai MOF ne ipotizzarono lo sfruttamento per l’immagazzinamento reversibile di gas di rilevanza economico-ambientale, come i “combustibili” idrogeno e metano. Nate come potenziali serbatoi per l’idrogeno da installarsi su autoveicoli, grazie alla loro porosità, queste “spugne molecolari” sono ora studiate in ambiti molto diversi, che spaziano dalla cattura irreversibile di gas nocivi, come diossido di carbonio o monossido di azoto, all’intrappolamento di vapori organici pericolosi, alla separazione di miscele di gas, all’impiego come nano-reattori in catalisi eterogenea o come nano-trasportatori per veicolare principi attivi o mezzi di contrasto. Ad esempio, il MOF in figura è in grado di adsorbire selettivamente diossido di carbonio da una miscela bifasica contenente anche metano.
Il campo di studio è molto vasto e, ogni anno, sono numerosissime le pubblicazioni scientifiche in merito. Naturalmente, conoscere la struttura cristallina di un MOF è fondamentale, in quanto consente la razionalizzazione delle sue proprietà funzionali.
Per saperne di più:
Dr.ssa Simona Galli
Dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia-Università dell’Insubria
E-mail: simona.galli@uninsubria.it